Quando Isaia scrive questa gloriosa profezia, le dieci tribù d'Israele sono già cadute nelle mani degli Assiri e la stessa sorte verrà presto condivisa dal piccolo regno di Giuda. Presto Gerusalemme sarà "abbandonata" e la sua terra sarà una "desolazione" (v.4). Per il profeta tutto ciò non rappresenta una remota eventualità, ma è una certezza connessa con la santità e la giustizia di Dio, che non può che punire la ribellione e il peccato del Suo popolo. Ma il profeta non si ferma qui e va oltre, guarda al ristabilimento di Gerusalemme e alla sua gloria futura. Questo è il soggetto dei capitoli 60 fino al 66. Dunque il libro d'Isaia, zeppo di minacce e giudizi che incombono su Israele, su Giuda e sui popoli circostanti, si conclude con un messaggio straordinariamente positivo, anzi glorioso! Certi "predicatori di sventura" farebbero bene a prendere esempio da Isaia e, pur denunciando il peccato e la necessità del ravvedimento, non dovrebbero mai dimenticare che evangelizzare significa predicare una buona notizia. Il mondo in cui viviamo è moralmente in rovina. Con il crollo dei muri e delle ideologie, con la crisi dei partiti e delle istituzioni, non si sa più in chi e in cosa credere e ci si chiude in sé stessi, più o meno delusi e depressi. Perfino certi credenti, che un tempo hanno vissuto momenti di risveglio e di entusiasmo, ora languono, e le loro comunità e la loro stessa vita sono facile preda dell'avversario. Per tutti c'è una nota positiva di speranza; il Signore è potente da risvegliare e ristabilire anche le comunità e i credenti più malconci: "Ecco, la tua salvezza giunge" (v.11). Ma sia per Sion, che per la Chiesa, Dio ha bisogno di "sentinelle, che non si taceranno mai, né giorno né notte" e che non diano "requie a Lui, finch'Egli non abbia ristabilita Gerusalemme, e n'abbia fatto la lode della terra" (vv. 6,7). Molto, se non tutto, dipende da questi umili intercessori, disposti a vegliare e pregare per il bene del popolo di Dio.
Data: 17/12/2005 Visite: 6395 | |
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