È triste notare come la mitezza, la mansuetudine e l'umiltà vengano spesso scambiate per debolezza. Sembra che coloro che curano molto le apparenze abbiamo più successo degli altri. L'apostolo Paolo era disgraziatamente incappato in questo tipo di esperti, abilissimi nella dialettica, nel pettegolezzo e nella critica. Costoro raccomandavano "se stessi" (v.12), si facevano garanti delle loro prerogative spirituali, si accreditavano da soli ed era tale la loro autostima che ritenevano di non aver bisogno di nessun altro. Ma perché impegnarci in iniziative che evidenziano solo la nostra immagine di bravi cristiani e di buoni servitori di Dio? "Vado io forse cercando di conciliarmi il favore degli uomini, ovvero quello di Dio? O cerco io di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo" (1). Una sola cosa interessa al vero servitore di Cristo: "che Egli (Gesù) cresca, e che io diminuisca" (2), che l'opera di Dio progredisca e che altre anime vengano salvate da Gesù per mezzo dell'annunzio dell'Evangelo. Paolo si rivolse ai Corinzi con un linguaggio diverso: parla di realtà e di prove tangibili, dell'approvazione e della raccomandazione divina che contraddistingueva il suo operato; del resto, i destinatari stessi dell'epistola erano la maggiore testimonianza dell'efficacia del suo lavoro. L'ubbidienza a Dio, la speranza di una maggiore crescita spirituale dei Corinzi e lo zelo evangelistico nel raggiungere nuove località in cui annunciare Cristo Gesù, erano gli interessi primari dell'apostolo ed in questo si sentiva approvato e raccomandato nel modo più assoluto. Non da sé stesso quindi, ma da Dio. Egli non era certo abituato alla lode degli uomini. Comunque sia, una cosa premeva particolarmente a Paolo: se c'era di che gloriarsi, era importante farlo unicamente nel Signore! Possiamo dire tante belle cose di noi stessi, possiamo anche farle dire ad altri, ma cosa pensa realmente il Signore di noi? 1) Galati 1:10 2) Giovanni 3:30
Data: 28/04/2005 Visite: 2304 | |
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