Ogni vero credente, ad un certo momento, ha compreso che era giunta l'ora di indurre il proprio io ad abdicare per cedere il trono al Salvatore. Gesù Cristo, quindi, regna nel cuore dei figlioli di Dio divenendo al tempo stesso il polo di attrazione attorno al quale ruotano tutte le aspettative, le ansie e i progetti dei credenti. Lui è al centro di ogni interesse e di conseguenza il soggetto esclusivo di tutta la nostra predicazione. L'annuncio del credente si distoglie dalla creatura, si disincarna dal proprio io facendo in modo che ogni aspetto della personalità o del carattere risulti subordinato al messaggio evangelico. Non predicare sé stessi, come dice l'Apostolo, equivale un po' a dimenticarsi, non darsi tanta pena di sé, ridimensionare l'importanza delle nostre convinzioni personali, magari anche non prendersi troppo sul serio. Non predicare sé stessi equivale a ricordare ogni momento che il protagonista è unicamente il Signore, mentre il nostro ruolo è e deve rimanere assolutamente subalterno. "Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me", l'apostolo sapeva che la vita del Redentore si doveva sostituire "in toto" a quella del credente. Quest'ultimo doveva quindi abbandonare ogni velleità o rivendicazione per svolgere un servizio all'insegna dell'umiltà e della dedizione. Stiamo quindi attenti a soffocare sul nascere ogni velleità personalistica e qualsiasi tendenza al protagonismo. La figura di Cristo deve continuare a stagliarsi splendente e gloriosa sull'orizzonte dei nostri desideri e delle nostre ambizioni.
Data: 06/04/2005 Visite: 2340 | |
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