Preoccupato per il benessere spirituale della Comunità di Corinto, Paolo inviò Tito con una lettera. Giunto a Troas, l'antica Troia, non vi trovò Tito che sperava fosse tornato. Nonostante il proficuo lavoro evangelistico svolto in quella zona, si diresse quindi in Macedonia, dove si incontrò col suo collaboratore. Finalmente rassicurato, nello scrivere quest'epistola si lasciò andare alla lode, riconoscente al Signore per i continui trionfi registrati nello svolgimento del suo ministerio. Nel lodare Dio utilizzò un'immagine presa in prestito dalla consuetudine, per i generali di far ingresso nella capitale per celebrare il loro trionfo. Diodati, e prima ancora Agostino e Girolamo, nella loro versione latina della Bibbia traducono: "Or sia ringraziato Iddio, il quale fa che sempre trionfiamo in Cristo". L'apostolo voleva evitare un riferimento a sé stesso, come a qualcuno che avesse conseguito una vittoria. Egli descriveva il proprio servizio cristiano come un trionfo, ma si trattava di un successo che aveva un preciso artefice: "ringraziato sia Iddio il quale fa che...". Il persecutore vinto dal perseguitato era diventato un trofeo di vittoria. Di ciò scrisse "e per causa mia glorificavano Iddio". Lui che era vissuto da orgoglioso Fariseo, veniva ora mostrato come trofeo di Cristo. Quando servo e servizio sono uniti nel trionfo si potrà dire, senza ostentare orgogliosamente, ma anche senza falsa modestia: "Ho dunque di che gloriarmi in Cristo Gesù... in parola, opera, con potenza di segni e di miracoli, con potenza dello Spirito Santo". Ma... "chi è sufficiente a queste cose?".
Data: 31/03/2005 Visite: 2215 | |
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