Al verso 19 di questo capitolo secondo della lettera indirizzata ai credenti di Tessalonica, l'Apostolo Paolo sembra sottolineare anche se in maniera implicita, una grande verità cristiana ricordata ancora in altre pagine della Bibbia, cioè che una vita cristiana pienamente felice per il tempo e per l'eternità è una vita che ha saputo attendere fedelmente al servizio dell'Evangelo. No, non v'è felicità completa là dove non v'è vero servizio. Conosciamo personalmente questo tipo d'allegrezza? L'apostolo lo conosceva! Sin da quando il Signore l'aveva incontrato sulla via di Damasco, egli aveva imparato a seguire Cristo nella ricerca delle anime perdute. Quell'amore l'aveva impegnato a tal punto da poter affermare: «Io evangelizzo perché necessità me n'è imposta, e guai a me se non evangelizzo». È vero che quella semina era spesso costata all'Apostolo un duro prezzo, ma era altrettanto vero che quelle lacrime erano state sempre colmate dalla gioia di un abbondante raccolto. Egli vedeva chiaro il giorno della gloria quando «quelli che ne hanno guadagnati molti risplenderanno come le stelle in sempiterno». Gesù il Maestro per eccellenza, aveva saputo anteporre perfino al cibo materiale, l'evangelizzazione, quando là presso il pozzo di Giacobbe aveva incontrato un'anima bisognosa di redenzione; Egli poteva dire a quei discepoli che lo sollecitavano a prender cibo: «Io ho un altro cibo da mangiare», un cibo che mi soddisfa appieno, sembra voler dire Gesù, «che io adempia l'opera che mi è stata data a fare». Quanti credenti potrebbero vivere una vita più felice se sapessero spendere più tempo della loro esistenza nella ricerca dei perduti, invece che nelle vane cose futili della vita. Possa il Signore in quest'ora, rianimare ogni cuore languente al fine di poter testimoniare in quel solo nome che sotto al cielo è stato dato agli uomini, per il quale ci convenga essere salvati, il glorioso nome di Gesù, al quale vogliamo consacrare tutta la nostra vita.
Data: 05/10/2002 Visite: 4134 | |
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