Una felice relazione coniugale messa in pericolo dalla violenza di
sentimenti scomposti: invidia, disperazione, ira; tutto questo perché in una
competizione umana si accendono rivalità capaci d'infrangere anche i legami
della consanguineità. Questa scena che qualcuno vede patetica, ma che è più
giusto definire fosca, ci ripropone la tragedia sempre presente nella società,
nella famiglia, nella chiesa, delle contese mosse dall'invidia. L'invidia non è
tanto sofferenza per quello che non si ha, quanto risentimento per quello che
gli altri hanno; Rachele invidiava la fecondità di Lea ed esplose nella tanto
violenta quanto insensata richiesta a suo marito, fino a provocare una reazione
di collera e d'ira.
In
quell'epoca e in quei luoghi una maternità generosa era considerata il segno
più chiaro del valore di una moglie e quindi come la prova più evidente di un
ministerio muliebre benedetto. Perciò possiamo comprendere la causa
dell'invidia di quella Rachele che vedeva insidiata la sua posizione di
«preferita» e menomata la sua condizione di moglie.
La nostra natura umana è sempre pronta ad insorgere quando
le occasioni sembrano provocarla; nella società, in famiglia, nella chiesa,
proprio così, ovunque si presentano cose e circostanze che possono suscitare
l'invidia e con essa tutti quei fenomeni morali che producono la degenerazione
dei rapporti umani. È più facile soffrire per il male altrui che gioire per il
bene, ma se vogliamo perseverare sempre la nostra serenità e difendere le sane
relazioni con i nostri congiunti o con i nostri fratelli in fede, dobbiamo
imparare a rallegrarci della prosperità e delle benedizioni realizzate da
coloro che ci circondano; non dobbiamo preoccuparci se la loro ricchezza, la
loro esperienza o le loro conquiste oscurano la nostra personalità, anzi
insieme a loro dobbiamo ringraziare Colui che è il dispensatore di buoni doni.
Quante sciocche contese, quante colpevoli divisioni, quante
riprovevoli separazioni nello spirito, potrebbero essere sconfitte acquietando
quel ribollire interiore che vogliamo chiamare giustizia, ma che dovremmo
chiamare con il suo vero nome «invidia»: «Soffrite con coloro che soffrono,
gioite con coloro che sono allegri».
Data: 12/04/2000 Visite: 4376 | |
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