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Le poesie di eVangelo

Salmo  38


di Giovanni Diodati
Trascritto da eVangelo


Salmo 38

A me, reo peccator, non dar, Signore,
gastigo, o correttion, nel tuo furore.
Le tue saette agute
in me sono cadute:
e di tua mano m'è calato addosso
il pondo tal, c' homai regger no'l posso.
Non ha la carne mia nulla di sano,
per lo cruccio di te, rettor sovrano.
Per le mie colpe, l'ossa
senton tanta percossa,
che trite, e fiacche, mai posar non ponno,
n'agli occhi stanchi dar quiete, o sonno.
De' falli miei la gran piena profonda
fin sopra'l capo mi sommerge, e' nnonda:
e' miei fatti ribelli
passan de' mie' capelli
Il conto, ed enne sì gravoso il peso.
Che sotto i' giaccio, ohime, prostrato, e steso.
Ulceri addosso a me veggio rodenti,
fracidi lividor, piaghe fetenti,
per lo mio folle ardire,
cagione di tant'ire.
Torto, e travolto, e ver la terra chino,
vestito a bruno tutto dì cammino.
D'arsure, e febbri ho palpitanti i fianchi,
e tutti i membri addolorati, e stanchi.
Non ho più segno, n'orma,
di vigor, ne di forma.
Scarno, e disfatto son, fin' a l'estremo:
e piango, e ruggio, e lamentando fremo.
Spando ogni mio desir nel tuo cospetto:
Ben vedi il sospirar de l'ansio petto:
d'inquieto bollore
mi batte, ansando, il core.
Ogni possa, e virtute, è da me sgombra,
e gli occhi miei mortal caligio adombra.
I mie' compagni, ed amici, sdegnosi,
la mia piaga a mirar stanno otiosi:
e' propinqui inhumani
se ne ritran lontani.
E chi cerca, follon, torni la vita,
m'ha tesi lacci, e tradigion' ordita.
Ma pur'io me ne sto, di sordo in guisa,
n'attendo a cio, ch' ognun di lor divisa.
Qual muto, non isnodo
risposta a quello ch'odo.
E paio un' huom, che'n gara, ed in contesa,
non save replicar' a sua difesa.
Poscia, Signor, che'n te spero, e m'affido,
tosto rispondi al mio doglioso grido.
O Signor, e Dio mio,
a te le preci invio,
che quegli audaci tu sturbi, e divieti
di trionfar di me, festosi, e lieti.
Qualhor' ismosso mi vacilla il piede,
contra me alzarsi il loro stuol si vede,
per cozzar fieramente
me misero cadente.
Perchè mi treman le mal sode piante
e'l mio grave dolor sempre ho davante.
Mentre le colpe a te spiego, e confesso,
col cor contrito pel mio folle eccesso,
i felli mie' nemici,
se ne vivon felici:
e tuttor più si fan e grandi, e forti,
que' che mi fero tante ingurie, e torti.
Del bene in vece, ch'io sempre lor fei,
il mal mi rendon, ed effetti rei.
O Signor, non lasciarmi,
ne lontan discacciarmi.
Al mio scampo, e soccorso, homai t'affretta,
che la salute mia tu se' perfetta.





Data: 05/09/2003
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