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Le poesie di eVangelo

Salmo  35


di Giovanni Diodati
Trascritto da eVangelo


Salmo 35

Signor, per me contendi
contra que' che mi fan aspra contesa.
Di guerreggiar imprendi
color, c'han contra me la pugna presa.
Con targa, e scudo, vieni fuori in campo,
per mio soccorso, e scampo.
Scoti la lancia, e' mie' nemici affronta,
e serra loro il passo.
E dimmi, I' son la tua salvezza pronta:
e me consola travagliato, e lasso.
Chi cerca darmi morte
sie pur confuso, e messo in fuga, e volta.
Vergogna sol riporte
chi la mente have a danneggiarmi volta.
Sie, qual polve, o fuscel, scherzo del vento.
In ruina, e tormento,
l'Angelo del Signor lo spinga ratto.
Per foschi, e sdrucciolosi
calli, vada a la china, e sie disfatto,
n'accertar possa, dove'l piè li posi.
Senza cagion, n'offesa,
perch'essi m'hanno insidiosa rete
in sul mio passo tesa:
e a torto mi cavar fosse segrete.
Addosso a lor' improvisa ruina
trabocchi repertina.
E gli colga, ed annodi il laccio stesso,
che nascoso m'havieno:
onde resti ciascun di lor' oppresso,
da forte crollo scosso nel terreno.
Alhor, in sacra festa,
l'anima mia, nel Signor giubilando,
solleverà la testa,
per la salute sue, ch'andrà vantando.
E l'ossa mie, già tutte secche, e trite,
diran rinvigorite,
chi ti puo pareggiar, alto Signore,
che l'afflitto ritogli
al più forte di lui crudo oppressore,
ne vuoi ch'a suo piacer sempre lo spogli?
Mendaci testimoni
son surti, cio che non debbo chiedendo:
e, per uffizi buoni,
altro che mal, ingrati, non rendendo.
Tende ogni lor pensier, ogni desire,
sol'a farmi morire:
avvegnache, qual'hor' infermi furo,
vestito andassi a bruno,
e a capo chino; ed in cordoglio duro,
per lor spandessi prieghi con digiuno.
In vesti sozze, ed adre,
qual, chi'l fratello, o'l fido amico piange;
O'l lutto di pia madre
di poco estinta, il cor gli affligge, ed ange,
grevi passi per lor moveva attorno.
Essi, a l'incontro, scorno
a me cadente fer, raccolti a schiere:
e, digrignando i denti,
dinascoso mi der sannate fiere,
con giucolari, in motteggiar mordenti.
Veggendo l'opre loro,
infin' a quando, o Dio, cheto rimani?
A l'alma mia ristoro
concedi homai da' lor strazi inhumani.
Salva l'unica mia da'denti felli
de'crudi leoncelli.
Ed io ti vanterò con chiari modi,
ne la grande adunanza
de' tuo' fedeli, ove habitar ti godi,
e v'è solenne di lodarti usanza.
Non far contenti, e lieti,
di me, color ch'a torto in odio m'hanno:
ne con motti faceti
lascia innasprir l'ingiuria che mi fanno.
Però che schivann ragionar di pace:
e'l lor pensier fallace
contra l'alme quiete ognora trama
perfidie, e'nganni nuovi.
Hora fie, sboccan, che l'accesa brama
del nostro core rimirar ne giovi.
Ciò t'è palese, e noto,
caro Signor, hor tua mercè non reste,
ne star da me remoto.
Per ragion farmi homai le luci deste
ver me dischiudi, o Signor, e Dio mio:
n'affondar'in oblio
mia purità, ch'a ponderar rimetto
a la tua lance uguale.
Ne lasciar che di me giuoco, e diletto,
prenda'l nimico, che m' infesta, e assale.
Ne che s'alletti, o sprone,
a darmi, acceso di speranze vane,
nuova crudel tenzone.
E non dica, l'habbiam pur, come pane,
a pezzi divorato, ed inghiottito.
Confuso sie, e smarrito,
qualunque del mio mal gode, e festeggia.
Sie di vergogna avvolto
chi, trionfando sopra me, vaneggia:
e'nfamia, e dishonor gli adombri il volto.
Ma sciolti in gioia chiara
sien color, che la mia giusta equitade
pregian, ed hanno cara,
e congiunti mi son d'apma amistade.
E vadan predicando a tutte l'hore,
esaltate il Signore,
che del suo servidor' humile, e fido,
gradisce la quiete.
Io, del tuo giusto oprar gli honori, e'l grido,
senza fin canterò con note liete.





Data: 12/06/2003
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