Salmo 28
Signor, non restar cheto,
mentre ch'a te pietosamente grido:
dammi, o mia Rocca eccelsa, e schermo ndo,
l'aiuto consueto.
Che, negletto, talor non sembri quelli,
che scendon negli avelli.
La fioca voce ascolta
del mio dirotto, ed angoscioso priego,
con che le doglie a a te del cor' ispiego,
con la faccia rivolta,
le palme aperte, a quell'arcana seggia
de la sacra tua reggia.
Non voler trarmi in giuso,
con que' cui il mal' oprar diletta, e giova,
il cui pensier tuttor perfidie cova.
E, per lusinghier' uso,
a chi s'accosta a lor, parlan d'amore,
pien di veleno il core.
Dà loro il giusto merto
de l'opre de le lor malvage mani.
Però ch'a fatti del Signor sovrani,
non hanno l'occhio aperto,
gli spignerà la vendetta divina
in estrema ruina.
Diamo al Signor la lode
d'alma bontà, che le mie preci udio.
Esso è il valor, lo scampo, e scudo mio,
in cui fidarti gode
homai il mio cor, disciolto in granudi, e canti,
per dargli honori, e vanti.
Del Suo santo legnaggio
esso è la forza, esso è l'alto riparo,
e la salvezza de l'Unto suo caro.
Deh, salva il tuo retaggio:
pasci'l, Signor, col tuo favor superno,
e l'alza in sempiterno.
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