Salmo 17
A la ragion, Signor, apri l'orecchio,
al mio gridar' attendi.
E'l priego humil, ch'a spander m'apparecchio
con labbra d'empie frodi
schive, pieghevol'odi.
Del mio dritto a favor sentenza rendi.
Interna i lumi santi
ne l'equità, che ti dispiego innanti.
Ad alto paragon, e fina prova,
del cor mio il saggio festi.
Tu lo guati, qualor quiete nuova
di notte l'ha disciolto.
E tutto'n se raccolto.
Al cimento del ver pormi volesti,
ne'n me di falso niente
scorgesti, che la lingua al cor consente.
Ben son diverse de la gente humana
opre, consigli, imprese.
Ma, fisso al Santo dir di tua sovrana
bocca, lunge da' fieri
ladron, torco i sentieri.
Nel santo calle, v'l piè stampar' apprese
l'orme, sostiemmi i passi,
che non dichinin, vacillanti, e lassi.
Te sol, Signor, di lingua, e cor' invoco,
ad esaudirmi pronto.
L'orecchio inchina al rotto suono, e noco,
che spira l'alma ansante.
L'alte pietati sante
metti di meraviglia in pregio, e conto:
tu, che salvi il fedele,
con la destra, da chi l'assal crudele.
Siimi guardian, con quella scaltra cura;
che d'occhio a la pupilla
schermo, e ripar si fa d'agra sciagura.
E, con l'ombra de l'ale,
a l'alma stanca, e frale,
porgi, Signor, pace lieta, e tranquilla,
da que' strazi inhumani,
che di me tentan far nemici insani.
Di grasso ognun di loro sodo, e compresso;
sbocca un parlar' altero.
Dovunque ci voltiam, sonci d'appresso,
con gli occhi, e con le menti,
ad atterrarci intenti.
Rassembran' il leon, cui il petto fiero,
di sbranar voglia preme:
e'l leoncel, che'n tana ascoso freme.
Sorgi, Signor, e muovi i passi, e l'ira,
per affrontargli, innante.
Fanne strage, e per mezzo'l brando gira,
e sì colpisci, e scoti,
che l'alma mia riscoti,
con la guerriera man, e fulminante,
da l'empio stuol mondano,
che sol in vita fral gode, profano.
Tu satolli le lor' ingorde brame
de' ben de le tue celle.
Di quell'i figli lor caccian la fame;
e pur larga civanza
a' lor nipoti avanza.
Io, col mio giust' oprar, vedrò tue belle
luci; e, destato, pago
sarò de la divina eterna imago.
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