Noi viviamo in un epoca in cui la medicina moderna presenta continuamente alla gente stupita nuove testimonianze delle sue possibilità e capacità che risultano veramente meravigliose. Al tempo stesso si fanno sentire sempre più le voci di coloro che esprimono la loro totale sfiducia nei confronti della medicina moderna che sembra essere in grado di fare quasi tutto. Diviene ogni giorno più alto il numero di coloro che nutrono più fiducia per i metodi, in parte molto antichi, della medicina naturale o dell’omeopatia che nei confronti dei metodi della nostra medicina ufficiale altamente scientifica. Le critiche alla medicina ufficiale sono numerose: effetti collaterali indesiderati, sparizione forzata dei sintomi, carenza di umanità ed esplosioni dei costi . Tuttavia molto più interessante dell’oggetto della critica è il fatto che questa critica ci sia ed essa scaturisca, molto spesso quasi irrazionalmente, dalla sensazione diffusa che qualcosa non fili più come dovrebbe e che la via imboccata non conduca alla meta che si sperava. Questo disagio della medicina viene avvertito da molte persone, compresi molti giovani medici. Ed ecco che alcuni vedono la salvezza nella socializzazione della medicina, altri nella sostituzione dei farmaci chimici con altri naturali, fatti di erbe, altri si aspettano la soluzione di tutti i problemi dallo studio delle radiazioni terrestri, altri giurano sulla omeopatia, altri ancora sull’agopuntura ed altri sulla medicina ayurvedica. Questi metodi terapeutici non convenzionali, in sintesi, cominciano a considerare l’uomo... La medicina ufficiale e quella naturale, la psicologia e la sociologia gareggiano tra loro nel ricercare le cause autentiche dei sintomi patologici e nel rincorrere la guarigione attraverso l’eliminazione degli stessi. Tutto è preso in considerazione come causa possibile di malattia. C’è chi cerca queste cause nell’inquinamento, chi in eventi della prima infanzia che hanno prodotto un trauma e chi nelle negative condizioni del posto di lavoro. Il paradigma dominante in medicina in questi ultimi trecento anni è stato dunque quello della patogenesi, termine questo che si compone di due parole greche: pathein= soffrire e genesi=origine, pertanto siamo andati alla ricerca dell’origine della sofferenza, puntando sulla causa della malattia. Una medicina che, in primo piano, affronta solo la questione di come sorge la malattia e di come essa possa essere evitata, eliminando i fattori causali, perde di vista l'urgenza di investire su un vero concetto di salute. Il grande unico business epocale è improntato sulla salute, unico bene prezioso che l’uomo vuole a tutti i costi, ma al tempo stesso non persegue in modo ottimale, anzi diventa artefice nel produrre quelle condizioni per favorire la malattia stessa. La gente è confusa…! Quale potrebbe essere la strada da perseguire? Qual'è oggi il vero bisogno dell'uomo, soprattutto dell'uomo ammalato? Senza voler negare i progressi compiuti dalla medicina, si vuole evidenziare che i processi materiali individuati dalla medicina non sono solo le cause vere della malattia. Da un lato constatiamo uno sviluppo vertiginoso della medicina sul piano tecnico, dall’altro i malati sono sempre più numerosi. Malattia e salute diventano per il singolo e per la società problemi sempre più importanti, la cui soluzione si presenta sempre più difficile. In molti libri che hanno accompagnato il mio percorso di letture, come quello di Yogi Ramacharaka, emerge la necessità insita nell’uomo di riappropriarsi del corpo e della salute, prima di poter procedere verso livelli di conoscenza più elevata. Questa tematica, riscontrabile anche nei rari testi occulti che trattano la cosiddetta fine della malattia sulla Terra, diventa dominante nel pensiero di Atkinson/Ramacharaka al punto che,nel 1906, raccolse in un unico testo - La Guarigione psichica - tutte le tecniche di guarigione di cui era venuto a conoscenza. Le teorie finora formulate dalla medicina non sono adeguate al concetto di malattia e guarigione. C'è un'imprescindibile relazione tra malattia e religione, tra medicina e religione che è già presente dai tempi di Ippocrate. La nostra moderna medicina scientifica risale ad Ippocrate (400 ac), il quale proveniva dai famosi Asclepiadi, che nel corso dei secoli crearono in Grecia luoghi di cura (ascepei), nei quali i sacerdoti curavano gli ammalati con rituali e canti magici. Ippocrate, che teneva molto alla sua origine, ruppe tuttavia con questa tradizione, cioè con la sua medicina sacerdotale, e cominciò a considerare le malattie indipendentemente da ogni implicazione religiosa, come fatti a sé stanti e a sviluppare cure corrispondenti al decorso del male. Egli pose così le basi per le metodologie oggi attuate dalla medicina scientifica. Questa medicina dai tempi di Ippocrate non è cambiata di molto, non si è molto sviluppata, ha compiuto passi avanti in certi campi e passi indietro in altri. Prima dell’intervento di Ippocrate curare spettava alla classe sacerdotale, quindi alla religione. La malattia era espressione dell’ira divina e veniva guarita dal sacerdote che induceva il malato al pentimento e in questo modo lo riconciliava con Dio. Il distacco di Ippocrate da questa tradizione rappresenta anche un distacco dalla “condizione patologica” ed un avvicinamento alla malattia in sé per sé. Oggi la medicina si dedica alla diagnosi e alla terapia di malattie e trascura totalmente il problema della “condizione patologica”. Un uomo non è una malattia e, purtroppo, la medicina non si occupa dell'uomo ammalato, ma soltanto delle sue malattie e dei suoi sintomi. I successi della medicina molto spesso non arrivano a toccare la “condizione patologica” dell’umanità. Colpisce il fatto che in medicina si parli esclusivamente di lotta contro la malattia. Nessuno è in grado di capire un nemico e di imparare a conoscerlo veramente fintanto che “lotta” contro di lui. In metamedicina, il dolore , il malessere o l’affezione sono considerati segnali dell’incrinarsi dell’armonia in una parte dell’organismo e, in una dimensione che và oltre il sintomo fisico, bisogna leggere i messaggi inviati dal corpo e ricercarne l’informazione di cui sono forieri. I sintomi che compaiono in una persona sono dei campanelli di allarme che indicano che qualcosa non va. Ogni sintomo represso costringe infatti l'uomo a segnalare la malattia su un piano diverso...Appena si annuncia un sintomo, il medico lo fa sparire e fa passare per un successo terapeutico. Nasce così il paradosso che la statistica dei successi della medicina si basa esclusivamente sul fatto che non si può veramente guarire. Ci troviamo di fronte ad uno spostamento dei sintomi, e con la forte specializzazione oggi in atto il paziente vaga da uno specialista ad un altro. Cosa è la malattia? Quale significato è insito nel processo di guarigione? Nel suo trattato sulla medicina, HANS BLUHER così scrive: “ le malattie sono un bene dell’umanità; la massa degli ammalati che sono al mondo resta sempre la stessa e, del resto, nessun intervento umano potrà apportare qualche modifica. Quando un medico guarisce una malattia, non elimina affatto un pezzo di malattia dal mondo, allo stesso modo in cui il fuoco non annienta la materia, ma toglie a questa persona la sua parte individuale di patologia e senza saperlo l’addossa ad un’altra”. E’ fuori discussione che la nostra medicina fornisce in molti casi un autentico aiuto, che nelle situazioni di bisogno va accettato con gratitudine. La terapia medica è giusta e benefica quando un intervento risulta necessario, ma non ha niente a che fare con un’autentica guarigione. Guarire infatti significa sempre santificare e sfiora quindi una dimensione ignota alla medicina scientifica. Guarire significa cogliere l’informazione contenuta nella malattia. La malattia rappresenta un apprendimento passivo, che ha lo scopo di rendere familiare alla persona una realtà non ancora accettata. Queste sono porta
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Data: 16/06/2010 Visite: 2447 |
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